ALLARMI 3, Nuovo contingente
Como, Caserma De Cristoforis
4 maggio – 4 giugno 2007

Gehard Demetz
Gehard Demetz scolpisce nel legno chiaro del tiglio cercando quella malleabilità che consente di carezzare la materia. Assembla piccoli tasselli, lasciando i confini socchiusi e apparentemente precari nel loro essere spigolosi. Le sculture, naturalmente tridimensionali per la loro estensione, arrivano al limite del bidimensionale e la figura non è più fruibile a tuttotondo: al retro è negato l'onore e l'onere della forma umana senza che per questo gli sia sottratta incisività. Il fronte, invece, scivola sul dettaglio più levigato, preciso, morbido come un incarnato. Se un particolare resta quasi iperrealista, lì un orecchio qui la piega di un dito, l'insieme tradisce subito il suo mondo irreale, senza concessioni alla vanità della replica semplicemente riproduttiva. I bambini di Demetz sono congelati in pose adulte, rubati a un istante pensieroso, in quell'informe che è ricordo e al contempo bozza di ciò che non è ancora. Il non-finito ci parla dunque in questo caso tanto di una dimensione di passato, più o meno sfocato nell'oblio, quanto di una dimensione di futuro che attende di prendere forma. Dietro l'espressione che l'artista assegna all'infanzia c'è quello che lui, citando l'antropologia di Rudolf Steiner, indica come il linguaggio delle madri, l'inconscio delle origini. Il portato infantile che fino a 7 anni sarebbe ancora così vicino alla nascita da recare la traccia, il solco, la ferita, della storia degli antenati. Il bagaglio che arriva a confondersi con quello di chi ci ha preceduti con quell'innocenza che subisce ma anche sfida il biblico "Le colpe dei padri ricadranno sui figli'.