“Arte Magazine“, n. 405, Editoriale Giorgio Mondadori, May 2007
L’età del dubbio
by Licia Spagnesi

Gehard Demetz ferma nel legno bambini dagli occhi troppo grandi. Corpi e caratteri ambigui, ieratici e pensosi. In mostra a Milano e Como.

Ritrattistica antica e filosofia di Steiner
Dalle sue parti colpire il legno è un fatto di tradizione millenaria. E se a un bambino di quelle parti, quando è in chiesa, gli occhi scorrono incantati da un santo all'altro alla ricerca del segreto delle forme, nessuno si stupirà che voglia fare lo scultore. A Gehard Demetz è andata così. Nato a Bolzano nel 1972, da ragazzo sogna di dedicarsi all'arte sacra: "A quattordici anni volevo scolpire santi di due metri, grandiosi, mossi, barocchi". Ma alla scuola professionale di Selva e soprattutto ai corsi estivi dell' Accademia di belle arti di Salisburgo, capisce che la sua strada è un'altra. Continua a esprimersi con le tecniche della scultura in legno tradizionale, ma non gli basta, vuole rinnovarla. Cosi s'inventa un linguaggio più attuale. "Frantumato come le immagini digitali. Ogni tassello un pixel".

Un bimba di 160 chili. Con questa tecnica è anche realizzato il colosso in mostra a Como. Una bella bambina dai capelli color miele che con le bambole non gioca più e ha in mano un rossetto. Non lo esibisce con civetteria. Lo brandisce come un'arma. Il rossetto significa per lei la fine dell'infanzia, il momento della crescita che porta nuove consapevolezze. Un cambiamento sofferto, vissuto con timore. Per questo nei grandi occhi l'espressione è tesa, minacciosa, quasi adulta. La bambina di Gehard Demetz, l want to be flexible, è una scultura di oltre tre metri, pesa 160 chili ed è composta, con un procedimento simile al Lego, da piccoli moduli in legno di tiglio. Le sue dimensioni la dichiarano sfuggita alla realtà. Ricorda Alice che nel Paese delle meraviglie sperimenta una crescita prodigiosa addentando un pasticcino. Davanti a questa creatura Demetz confessa di aver provato una sensazione di disagio: "Fa quasi paura". È la prima volta che lo cultore altoatesino si cimenta con le grandi dimensioni. Dagli egizi a Clae Oldenburg, da Michelangelo ai surrealisti, il gigantismo è una modalità di sicuro effetto. Mettendo la bambina su un piedistallo importante, l'artista distanzia quella figura così umana da chi la guarda e le conferi ce un'imponenza quasi sacrale. Ne risulta amplificato anche l'effetto ansiogeno dell' espressione, caratteristico dei ritratti di Demetz, che chiede molto allo sguardo.Gli occhi preoccupati e profondi dei suoi bambini guardano lontano in tormentata attesa di un futuro che spaventa. E Il colore per riveIare. Sono bambini di sette, otto anni, l'età della perdita dell'innocenza, dice Steiner, il teosofo alle cui teorie si rifà Demetz. Che sia un momento di conflitto ce lo dice anche la superficie dell'opera. Davanti levigata, da mostrare al mondo, e dietro grezza, come il carattere di un bambino non ancora piallato dalle circostanze. Oggetti simbolici, evidenziati con acrilici e lacca, segnalano che il personaggio è a una svolta che non sa affrontare. Il simbolo è il perno del problema. Le scarpette rosse, le forbici, un fiammifero, la pistola d'oro che il bambino non si decide a impugnare. Capita che gli occhi siano chiusi, ma non è una situazione migliore. Si chiudono su una realtà spiacevole: in Your monsters are just like mine i lacci gialli imprigionano in Your sweat is salty il cappello da asino opprime.